Il Covid ci ha nostro malgrado rallentato e silenziato, svuotando le strade ha ridotto le chiacchiere sui marciapiedi, la confusione operosa dei mercati rionali, gli incontri serali …
È questo un male? Cosa è il silenzio?
Come termine opposto pensiamo a rumore e urla. Una definizione sottrattiva di assenza di confusione, ma silenzio è anche assenza di suono, di musica, di poesia condivisa in uno spettacolo. In senso addizionale Silenzio attiene al legame umano, al modo di una presenza condivisa. Non è assenza di comunicazione ma una sua forma.
Per questo è un elemento rituale, sociale o religioso presente in ogni cultura: il silenzio esprime un cordoglio, un legame con dio, nella meditazione una riconnessione con un livello profondo di Sé (silenziando i pensieri); anche in psicoterapia il silenziamento di rimuginii e pensieri ossessivi è un atto terapeutico che ricomunica benessere. È qui il solo rumore di fondo a silenziarsi, non il contatto, la comunicazione e il legame su cui invece ha colpito la pandemia sostituendoli con distanza e incertezza.
Ma il Covid ha reso la vita difficile anche al rumore di fondo: distanza e incertezza non nascono col Covid che solamente ne ha amplificato il vissuto riducendo alcuni aspetti dello stesso rumore di fondo la cui funzione è di coprire la distanza crescente interpersonale con i gesti vuoti e rumorosi della Milano da bere dilagata in ogni città e periferia. Già prima del Covid era divenuto endemicamente difficile e desueto comunicare sottovoce, utilizzando la forza dello sguardo, il contatto e l’empatia nell’incontro ravvicinato. L’inquinamento acustico e relazionale era ed è paravento di finzione, di falso movimento di incontro. Oggi il rumore di fondo da solo, riversato e amplificato sui social, manifesta la sua inconsistenza insufficiente. L’esito è depressivo.
La crisi di astinenza da rumore di fondo, droga sostitutiva di concreto contatto e vicinanza, crea le roulette russe degli assembramenti, gli scontri tra bande, l’utilizzo metadonico dei social.
Se abbiamo una certa età riusciamo meglio a barcamenarci, pazienza, ma se siamo giovani o giovanissimi la sofferenza è dilaniante. Il giovane ha bisogno di urlare se stesso assieme a compagni, deve poterlo fare senza diplomatiche museruole addomesticanti. Fin da neonato l’essere umano afferma se stesso urlando a squarciagola, ed è un buon segno; ma fin da neonato ha anche momenti in cui sta in silenzio, nell’incanto, ed è un buon segno. Cattivo segno è quando urla sempre o sempre è silenzioso e in disparte.
Sono ambedue polarità di una gamma dell’umano. Il silenzio è una polarità connessa al rumore, alla musica, alla forza affermativa.
Comunicare nel silenzio è necessario quanto nell’urlo, ma il secondo da più parvenza di raggiungimento e i social ne sono strumento consentendo alla voce di essere sempre alta e di travalicare in modo indelebile verso lontananze altrimenti inaccessibili. Audience e rumore sono binomio di successo per gli algoritmi.
Il silenzio comunicativo è sempre più difficile; eppure è la trama delle parole. Come l’universo è prevalentemente spazio vuoto con isole concatenate di pieno, la comunicazione è prevalentemente spazio silente con isole concatenate di parole.
Come un canto a bassa voce al bambino crea legami indissolubili, recuperare il silenzio nel contatto interpersonale crea uno spazio generativo e disintossicante di movimenti reali di incontro.
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Il vuoto di Bootes
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