Recinti aperti 1: crisi di astinenza
Distanziamento sociale: obbligatorio comportamento virtuoso di elevato valore sociale e personale in tempi di coronavirus. Giusto, eppure suona male, come una nota dissonante.
Dovremmo esservi abituati: il modello socioeconomico immanente è basato sul distanziamento sociale; si chiama anche sperequazione: mancanza di uniformità ed equità nella ripartizione delle risorse, ed è il reale motore di tutti i sommovimenti tettonici sociali.
Chiusi in casa molti di noi si sentono in gabbia, riscoprono il bisogno incoercibile di footing e rimpiangono di non avere un cane.
Contemporaneamente, se non viviamo soli, siamo invece costretti ad un maggior contatto con chi abbiamo vicino. I rapporti di convivenza vengono messi a dura prova.
La dissonanza è nel sentore di qualcosa di essenziale e necessario, difficile da ascoltare e mettere a fuoco perché desueto, ma che siamo costretti a percepire non potendolo più nascondere nei rumori di fondo del consueto fare.
Non è la vicinanza che ci manca. È la parvenza della vicinanza che viene meno, la sua illusione, che non possiamo più camuffare nel falso movimento quotidiano e forsennato (vecchio film di Wenders, 1970).
Manca la droga e siamo in crisi di astinenza.
Può essere un movimento virtuoso di disintossicazione?
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